I’m in Italy for two weeks, close to the seat of Italian leftism, and thanks to the country’s recent swing to the right, this part of the world has a really militant feel about it right now. Doing some culture-scrubbing I came across this from Beatriz Preciado for atelierbetty. There’s language in here that I really love. I wonder how this would sound if we were to frame a new physiotherapy around something like this. Italian first, then a DeepL translation to English follows.
Noi diciamo RIVOLUZIONE
di BEATRIZ PRECIADO
Pare che i vecchi guru dell’Europa coloniale si stiano ostinando a voler spiegare agli attivisti dei movimenti Occupy, Indignados, handi-trans-froci-lesbiche-intersex e post-porn che non potremo fare la rivoluzione perché non abbiamo nessuna ideologia. Dicono «un’ideologia» esattamente come mia madre diceva «un marito». Bene: non abbiamo bisogno né di ideologie né di mariti. Noi, nuove femministe, non abbiamo bisogno di mariti perché non siamo donne. Così come non abbiamo bisogno d’ideologie perché non siamo un popolo. Né comunismo né liberalismo. Né ritornello catto-musulmano-ebraico. Parliamo un altro linguaggio. Loro dicono rappresentazione. Noi diciamo sperimentazione. Loro dicono identità. Noi diciamo moltitudine. Loro dicono controllare la banlieue. Noi diciamo meticciare la città. Loro dicono il debito. Noi diciamo cooperazione sessuale e interdipendenza somatica. Loro dicono capitale umano. Noi diciamo alleanza multi-specie. Loro dicono carne di cavallo. Noi diciamo saliamo in groppa ai cavalli per sfuggire insieme al macello globale. Loro dicono potere. Noi diciamo potenza. Loro dicono integrazione. Noi diciamo codice aperto. Loro dicono uomo-donna, Bianco-Nero, umano-animale, omossessuale-eterosessuale, Israele-Palestina. Noi diciamo ma lo sai che il tuo apparato di produzione della verità non funziona più. Quanti Galileo saranno necessari, questa volta, per farci reimparare a nominare le cose e noi stessi? Loro ci fanno la guerra economica a colpi di machete digitale neoliberale. Ma noi non piangeremo per la fine dello Stato-sociale – perché lo Stato-sociale era anche l’ospedale psichiatrico, il centro d’inserimento per handicappati, il carcere, la scuola patriarcale-coloniale-eterocentrata. È tempo di mettere Foucault alla dieta handi-queer e di scrivere la Morte della clinica. È tempo di invitare Marx a un atelier eco-sessuale. Non possiamo giocare lo Stato disciplinare contro il mercato neoliberale. Entrambi hanno già siglato un accordo: nella nuova Europa, il mercato è l’unica ragione di governo, lo Stato diventa un braccio punitivo la cui unica funzione è ormai di ricreare la finzione dell’identità nazionale sulla base della paura securitaria. Noi non vogliamo definirci né come lavoratori cognitivi né come consumatori farmaco-pornografici. Noi non siamo né Facebook, né Shell, né Nestlé, né Pfizer-Wyeth. Noi non vogliamo produrre francese, ma neanche europeo. Noi non vogliamo produrre. Noi siamo la rete viva decentralizzata. Noi rifiutiamo una cittadinanza definita dalla nostra forza di produzione, o dalla nostra forza di riproduzione. Noi vogliamo una cittadinanza totale definita dalla condivisione delle tecniche, dei fluidi, delle semenze, dell’acqua, dei saperi… Loro dicono la nuova guerra pulita verrà fatta con i droni. Noi vogliamo fare l’amore con i droni. La nostra insurrezione è la pace, l’affetto totale. Loro dicono crisi. Noi diciamo rivoluzione.
(Traduzione Judith Revel)
Libération, 20 mars 2013
We say REVOLUTION
By BEATRIZ PRECIADO
It seems that the old gurus of colonial Europe are stubbornly trying to explain to the activists of the Occupy, Indignados, handi-trans-froci-lesbians-intersex and post-porn movements that we cannot make a revolution because we have no ideology. They say 'an ideology' exactly as my mother used to say 'a husband'. Well: we need neither ideologies nor husbands. We, the new feminists, do not need husbands because we are not women. Just as we do not need ideologies because we are not a people. Neither communism nor liberalism. Neither Catholic-Muslim-Jewish refrain. We speak another language. They say representation. We say experimentation. They say identity. We say multitude. They say control the banlieue. We say meticulate the city. They say debt. We say sexual cooperation and somatic interdependence. They say human capital. We say multi-species alliance. They say horse meat. We say let's ride the horses to escape the global slaughter together. They say power. We say power. They say integration. We say open code. They say man-woman, black-white, human-animal, homosexual-heterosexual, Israel-Palestine. We say but you know your truth-producing apparatus no longer works. How many Galileans will it take this time to make us relearn how to name things and ourselves? They wage economic war on us with the neoliberal digital machete. But we will not mourn for the end of the social-state - because the social-state was also the psychiatric hospital, the insertion centre for the handicapped, the prison, the patriarchal-colonial-hetero-centred school. It is time to put Foucault on the handi-queer diet and write the Death of the Clinic. It is time to invite Marx to an eco-sexual atelier. We cannot play the disciplinary state against the neoliberal market. Both have already sealed a deal: in the new Europe, the market is the only reason for government, the state becomes a punitive arm whose only function is now to recreate the fiction of national identity on the basis of securitarian fear. We want to define ourselves neither as cognitive workers nor as drug-pornographic consumers. We are neither Facebook, nor Shell, nor Nestlé, nor Pfizer-Wyeth. We do not want to produce French, nor European. We do not want to produce. We are the decentralised living network. We reject a citizenship defined by our force of production, or our force of reproduction. We want a total citizenship defined by the sharing of techniques, fluids, seeds, water, knowledge... They say the new clean war will be waged with drones. We want to make love with drones. Our insurrection is peace, total affection. They say crisis. We say revolution.
(Translation Judith Revel)
Libération, 20 mars 2013